qualche tempo fa, un mio caro amico, anch’egli pittore, realizzò un disegno in cui appariva una giovane studente di pittura dell’Accademia nell’atto di contemplare la propria tela. trovai molto interessante quest’opera, oltre che per lo stile e la maestria, soprattutto per l’inquadratura scelta. della ragazza vediamo il volto e il suo sguardo fisso sul quadro, del quadro invece solo il retro. oltre il quadro, verso di noi, poi, vediamo ancora l’aria, la polvere, i giochi di ombra e luce, il solito spazio. lo sguardo di lei appare come semplicemente interrotto da un pezzetto di tela posto a poca distanza dal corpo, ma anche fisso su un qualcosa che a noi è precluso, rapito da uno spazio illusorio, perso in profondità. tuttavia questa mia lettura dell’opera non corrispondeva minimamente al significato che invece aveva voluto infondervi l’autore. lui nel suo lavoro dal vero aveva potuto vivere quei momenti, quella situazione e da essa aveva tratto un forte senso di disagio per la condizione di crisi in cui gli era sembrato versasse il soggetto rappresentato a causa della personale incapacità a svolgere sensatamente quella specifica attività. questa la sensazione che il mio amico avrebbe voluto comunicare anche a me ma che io non colsi affatto, riversando in quella figura, probabilmente, un mio racconto personale. Ripenso a quel momento perché più che mai quell’immagine ancora mi rappresenta per come l’avevo percepita, per come intatta si è conservata nella mia memoria.
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